sabato 24 dicembre 2016

italico

/i-tà-li-co/
agg. e s.m.
In ambito tipografico, sinonimo di [carattere] corsivo. 
Nella lingua italiana corrente, il termine viene percepito ormai come antiquato; finché il latino, però, fu lingua franca delle élite intellettuali europee, capitava sovente di imbattersi - nei testi a stampa - in espressioni del tipo charactere italico, vulgo corsivo, ovvero, in versioni nostrane, «distinte con Carattere Aldino, o sia Italico, che volgarmente chiamano Corsivo».
Tale uso deriva dal fatto che questo carattere fu inventato in Italia, proposto per la prima volta dall'editore veneziano Aldo Manuzio sul frontespizio delle Epistole devotissime di santa Caterina da Siena (1500). I punzoni vennero cesellati ad hoc dall'orafo bolognese Giuseppe Griffo (1450-1518) probabilmente su disegno dello stesso Aldo, ispirato da un tipo di scrittura in voga nella seconda metà del Quattrocento nelle cancellerie italiane, sull'esempio dei codici vergati dall'umanista Niccolò Niccoli (1365-1437) e dalla sua cerchia. Queste forme piú agili e sottili, che occupavano meno spazio nella pagina, consentirono a Manuzio di pubblicare una serie di classici greci e latini in piccolo formato (enchiridii forma, come li chiamava lui) che ebbero un notevole successo  commerciale in tutta Europa, facendo cosí germogliare nelle varie lingue del continente il comune seme originale (italic, italique, itálicoİtalik).


giovedì 22 dicembre 2016

hobby

/hòb-by/
s.m. inv.
Passatempo, occupazione gradevole - solitamente contrapposta a una piú seria attività professionale o di studio - alla quale ci si dedica durante le ore libere, entro un range variabile di capacità, diligenza e passione. 
Il termine è attestato nella lingua inglese fin dal XIV secolo (variante hobyn) quale ipocoristico familiare o variante del nome proprio Robin, Robbie, che identificava una razza di cavalli irlandese (cfr. l'italian-toscano ubino adoperato sineddoticamente dall'Ariosto «Nel mansueto u. che sul dosso / Avea la figlia del re Stordilano, / Fece entrar un degli angel di Minosso» Orlando Furioso XXVI,129). Hobby-horse diviene poi sinonimo di cavallo da tiro e parallelamente quel surrogato (Gombrich direbbe una rappresentazione) di cavalluccio (formato da un'asta di legno e una testa con fattezze equine) che costituirà uno dei principali trastulli d'infanzia prima dell'avvento delle automobili (e dei rispettivi surrogati in miniatura).  Il passo semantico successivo porta da giocattolo a passatempo preferito, o particolare mania, grazie soprattutto all'enorme successo di pubblico riscosso dal The Life and Opinions of Tristram Shandy (1760-1767) il cui personaggio piú celebre e amato, lo zio Tobia, era roso da una comica ossessione (hobby-horseper gli assedi e le fortificazioni militari, che lo portava a ricostruire nel giardino di casa propria gli accadimenti bellici di cui leggeva nelle gazzette.
Panzini registra nel 1923 la voce hobbyhorse, indicando come equivalenti italiani ticchio, fissazione (forse pallino renderebbe meglio la nuance semantica) e solo nell'ed. del 1942 la forma hobby, già adoperata tuttavia fin dal 1926 da Italo Svevo («Gli inglesi non c’è dubbio hanno una grande necessità di attività ideale. La dedicano alla politica, alla legge e chi non arriva a queste due altissime attività la dedica alla sua Hobby, collezioni disinteressate, musica e soprattutto religione» Racconti, saggi, pagine sparse, a cura di B. Maier - orig. in Soggiorno londinese).


Il movimento artistico Dada deriva probabilmente il proprio nome dal termine francese per hobby-horse; è stata evidenziata inoltre l'influenza del Tristram Shandy sugli scritti di Tristan Tzara, principale teorico del movimento.





domenica 18 dicembre 2016

gorilla

/go-ríl-la
s.m. inv. 
Genere di primati appartenente alla famiglia degli ominidi. 
Il termine fu adottato dal missionario e naturalista Thomas Staughton Savage descrivendo quella che all'epoca venne considerata una nuova specie di Troglodytes, da lui casualmente scoperta alla foce del Gabon (attuale Libreville) e nota ai nativi col nome di Engé-ena. Nell'aprile 1847 il reverendo stava viaggiando nell'Africa occidentale, quando una malattia lo costrinse a fermarsi e trascorrere la convalescenza in casa del collega John Leighton Wilson. Qui gli venne mostrato un grosso teschio scimmiesco che Savage riconobbe subito non appartenere ad alcun primate allora noto, identificandolo con quell'Ingena di cui nel 1819 l'esploratore Thomas Edward Bowditch aveva riportato l'esistenza (senza però averlo visto personalmente). 
Il missionario aveva letto l'edizione inglese (Falconer 1797) del Periplo attribuito ad Annone di Cartagine (VI o V sec. a.C.), considerato il piú antico resoconto di viaggio in terre africane. Su di un isola (verosimilmente nel Golfo di Guinea) Annone e i suoi si imbattono in una popolazione di primitivi, particolarmente pelosi (pigmei o scimmie?), che gli interpreti al seguito riferiscono chiamarsi Γόριλλαι (Gorillae: del resoconto è sopravvissuta solo una copia tradotta in greco, l'attuale ms Barb. gr. 107). È da rimarcare che la radice gor, kor si trova in parecchie lingue attuali del Senegal associata alla parola per indicare uomo.
L'uso di gorilla come sinonimo di guardia del corpo deriva dallo slang americano ed è attestato già agli inizi del Novecento («It was a bruising hand, too, on occasion, Fulton being known as "Harrison's gorilla," which signified bodyguard and office bouncer» Leon David Hirsch, The Man who Won, 1918) mentre Panzini (1923) gli associa anche una connotazione mandrillesca che col tempo si è perduta (King Kong effettivamente aveva un debole per le bionde).

martedì 13 dicembre 2016

fucsia

/fùc-sia
s.f. 
Genere di pianta arbustiva originaria dell'America Centro-meridionale e della Nuova Zelanda, i cui fiori presentano una tonalità di colore tra il rosso e il viola.
s.m. e agg. inv. 
Colore simile a quello dei fiori della pianta (anche fuchsia, che in effetti è il nome scientifico secondo la tassonomia linneana:  «La presenza del Vicario Generale dell'Archidiocesi di Palermo era annunziata dal suo vasto cappello di fine castoro di un delizioso color fuchsia, adagiato su di una sedia appartata» Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo).
Il nome venne attribuito (onorando la memoria del botanico e medico tedesco Leonhart Fuchs, vissuto nel sec. XVI) dal frate botanico Charles Plumier (1646-1704) che scoprí - primo occidentale - un esemplare del genere nell'isola di Hispaniola (Santo Domingo).
A complicare il percorso etimologico, nel 1859 Francoise-Emmanuel Verguin  scopre e brevetta un colorante sintetico (secondo assoluto dopo la malva) a partire dall'anilina, battezzato fuchsine dall'azienda Renard Freres (renard=volpe=Fuchs) che acquisisce il brevetto. Diviene di colore fucsia se disciolto in acqua; come solido forma cristalli verdi. Ha subito un amplissimo utilizzo industriale per tingere le stoffe ma anche come disinfettante. L'anno successivo Edward Nicholson inventa un procedimento piú efficace per ottenere la fuchsina e la commercializza nel Regno Unito col nome magenta, un termine molto di moda all'epoca per la risonanza mediatica che ebbe la battaglia fra austriaci e franco-piemontesi nell'omonima città sul Ticino. Da allora i due termini-colore vengono adoperati sostanzialmente come sinonimi. Non a caso, il nuovo OS di Google, Fuchsia, si basa su un kernel chiamato Magentatout se tient (tranne il motto di lancio dell'azienda di Mountain View, coloristicamente discutibile: «Pink + Purple = Fuchsia».






sabato 10 dicembre 2016

evemerismo



/e-ve-me-rì-smo
s.m.
Teoria razionalistica proposta da Evemero da Messina (ca. 340-260 a.C.) secondo la quale all'origine delle narrazioni sugli dei troviamo le azioni di re e grandi guerrieri antichi, elaborate successivamente nel mito. Per estensione, atteggiamento critico nei confronti della religione che inverte la consecutio «dio creò l'uomo» in «l'uomo creò dio». Celebre, in questo senso, la posizione di Ludwig Feuerbach (1804-1872) che scrisse «Gott ist der Spiegel des Menschen».
Tale posizione - a valutare la precedenza cronologica - si sarebbe anche potuta chiamare senofanismo, da Senofane di Colofone (580-485 a.C. ca.), leggendo questi versi tratti dalle sue Elegie:


I mortali si immaginano che gli dei sian nati
e che abbian vesti, voce e figura come loro.
Ma se i bovi e i cavalli e i leoni avessero le mani,
o potessero disegnare con le mani, e far opere come quelle degli uomini,
simili ai cavalli il cavallo raffigurerebbe gli dei,
e simili ai bovi il bove, e farebbero loro dei corpi
come quelli che ha ciascuno di loro.
Gli Etiopi dicono che i loro dèi hanno il naso camuso e son neri,
i Traci che hanno gli occhi azzurri e i capelli rossi.

Fatalità vuole che questo frammento di Senofane sia stato tramandato (giungendo fino a noi) dall'apologeta cristiano Clemente Alessandrino (150-215 ca.) nel suo Stromateis. Proprio l'apologetica cristiana riesumò il pensiero di Evemero - nel frattempo caduto in oblio - quale strumento logico efficace per minare alle basi il paganesimo e i relativi culti: ma si sa, chi di evemerismo ferisce...

venerdì 9 dicembre 2016

draconiano


/dra-co-nià-no
agg.
Di Dracone, considerato tradizionalmente autore del primo codice legislativo della città di Atene (621/620 a.C. ma verosimilmente un falso del V sec.) caratterizzato da una estrema severità; in senso fig. à la manière de, ovvero: particolarmente rigoroso, inflessibile. 
Schiller (Über Anmut und Würde) riteneva che Kant fosse «il Dracone della sua epoca» (ça va sans dire: imperativo kantiano) e Cicerone (De Or.) esaltava la saggezza del diritto romano, confrontandolo «cum illorum Lycurgo et Dracone et Solone» (licurgico e soloniano, però, non sono divenuti di moda).
La prima attestazione registrata in lingua italiana (1823) ha un padre nobile ma un'opera abortita: Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia («Ora queste leggi dell'onore erano in allora molto draconiane; e domandavano sangue per molti casi» V).

mercoledì 7 dicembre 2016

clacson

/clàc-son
s.m. inv.
«apparecchio acustico avvisatore (automobili)». Cosí Alfredo Panzini, nella quarta edizione del suo (1923) Dizionario moderno, registrava la voce clakson (variante ampiamente attestata in letteratura sino a oggidí; cfr. ad es. Carlo Emilio Gadda, L'adalgisa «Nel viale, a intervalli, sibilavano e garrivano i clakson; contro l'inane si avventavano le macchine.»). 
Marchionimo statunitense che subisce il classico processo per cui alcuni marchi registrati (pensate a scotch, post-it, pennarello) sono così efficaci da evolvere in nomi comuni (per altro - in questo caso - non nella lingua d'origine, dove si usa comunemente horn, corno, memori delle prime trombette con pompante utilizzate sugli autoveicoli; cosí in tedesco si ha Hupe).  Il termine originale, klaxon, venne coniato da Franklyn Hallett Lovell Jr., fondatore della Lovell-McConnell Manufacturing Co. di Newark, azienda che acquisí il brevetto e commercializzò dal 1908 questo strumento elettrico che divenne presto equipaggiamento standard nelle auto della General Motors. L'etimo sarebbe il verbo greco κλάζω (klázō) squillare, rumoreggiare, maneggiato verosimilmente da un grecista che avrà confuso le lettere xi (ξ) e zeta (ζ), di forma simile.




martedì 6 dicembre 2016

baldràcca

/bal-dràc-ca
s.f. (pl. -che)
Donna di facili costumi, meretrice. Attestata per la prima volta nella commedia di Aretino La cortigiana, data alle stampe nel 1534 («Togna. Faresti il meglio starti a casa, e lasciar andare le taverne e le baldracche» IV, XI). Per secoli (cfr. B. Varchi, L'Hercolano, Venezia 1570,  244) si è ritenuto che il termine derivasse dalla città di Baghdad, nella variante fiorentina Baldacca o Baldacco (lo usa Petrarca in uno dei suoi sonetti meno memorabili «ragion mi struggo e fiacco [...] / Sol una sede ; e quella fia in Baldacco»), confusa/sovrapposta dal tardo medioevo con la dissoluta Babilonia, luogo biblico di corruzione e perdizione per antonomasia; inoltre cosí si chiamavano, anticamente, un quartiere e un'osteria (e qui glissiamo su chi diede il nome a cosa) di Firenze, frequentati ambedue «dalle femmine di mondo». Tuttavia, il LEI è giunto da ultimo a mettere in dubbio questa etimologia, associando piuttosto il termine a una serie di attestazioni che presentano i significati base di  ventre prominente, pancia grossa, e quindi, per sineddoche, donna grassa e malfatta.
Isidoro da Siviglia e le paretimologie sono sempre in agguato!



domenica 4 dicembre 2016

adamìtico

/a-da-mì-ti-co
agg. (pl. m. -ci)
1. Di Adamo, soprattutto nell'espressione eufemistica/scherzosa in costume, abito a. (cfr. anche il ted. Adamskostüm) ovvero nudo, condizione abituale del primo uomo nel giardino nell'Eden sino al casus belli conseguente al morso del frutto proibito, secondo il racconto di Ge 2,25-3,7; estens. primitivo, preistorico, ingenuo.
Il Sabatini Coletti lo attesta dal 1803, il DELI dal 1895. 
2. Var. di adamita, relativo agli adamiti, appartenenti ad una setta eretica cristiana del IV sec. (simile agli adamiani, del II-III sec.) che propugnavano il ritorno all'originaria innocenza dell'Adamo pre-morso