domenica 26 febbraio 2017

nylon

/ny-lon/
s.m. inv.
Denominazione commerciale ® di un gruppo di macromolecole sintetiche poliammidiche, polimerizzate -al fine di produrne fibre tessili e per altre applicazioni industriali- dal chimico Wallace Hume Carothers presso i laboratori della DuPont a partire dal 1934. La prima a essere brevettata e a entrare in produzione, nel 1938, fu il nylon 6,6 (il numero che differenzia i vari appartenenti alla classe indica quanti atomi di carbonio sono presenti nella formula strutturale del polimero). 
Si cominciò ad adoperarlo per le setole degli spazzolini da denti, ma il successo planetario avvenne nel settore dell'abbigliamento con le calze da donna: nel '40 se ne vendettero 64 milioni di paia. Poi furono le necessità belliche a sfruttarne le caratteristiche (elasticità, durezza, resistenza all'abrasione). Tele di nylon a rinforzo degli pneumatici, funi, tessuto per i paracadute, eccetera. Successo anche linguistico, almeno in Italia, attestato dall'(ab)uso del termine a indicare quei sacchetti per la spesa non biodegradabili (ormai formalmente proscritti) che trovavamo alla cassa dei supermercati: il sacchetto di naylon in realtà è fatto di polietilene (tutt'altro polimero). 


L'idea che mosse Carothers alla scoperta del nylon, ovvero sintetizzare una molecola che avesse una struttura chimica simile a quella delle proteine che costituiscono la seta, ci indica anche un possibile collegamento alla fantasiosa origine del termine circolata negli anni Quaranta, ovvero che fosse l'acronimo di Now You, Lousy Old Nippon «E ora a noi, pidocchioso vecchio Giappone» (o le varianti Now You've Lost, Old Nippon «Ora hai perso, vecchio Giappone» e Now You Look Out, Nippon «E ora stai ben attento, Giappone»), in relazione al fatto che le importazioni della seta avvenivano quasi in regime di monopolio da quella nazione. Per smorzare possibili attriti diplomatici (Pearl Harbor era ancora di là da venire) nel febbraio 1941 DuPont commissionò a un quotidiano giapponese una formale smentita di quella falsa etimologia attribuita al loro prodotto.
Sull’origine del nome, sono state comunque fatte le ipotesi più fantasiose. Il nome fu scelto fra una rosa di almeno 350, scartando via via quelli che ponevano problemi di conflitto con altri marchi o che potevano essere pronunciati in modo errato, sortendo effetti involontariamente comici o denigratori. Negli archivi di DuPont si conserva ancora la lettera di un certo Mr. John L. Naylon, che esponeva al presidente la situazione incresciosa in cui era venuto a trovarsi per il fatto che tutti ormai lo chiamavano Mr. Nylon e facevano battute stupide sul suo nome. Ricevette una cortese risposta dal Presidente in persona che gli consigliava di farsene una ragione, dopotutto persone di nome Cotton o Woolly non avevano fatto tutte quelle storie. (E. Polo, C'era una volta un polimero).

domenica 22 gennaio 2017

macabro

/mà-ca-bro/ (in passato macàbro)
agg. e s.m. inv.
Funereo, lugubre, ispirato o riferito alla morte, talvolta con espressione di compiacimento.


Il termine compare per la prima volta nel componimento Le respit de la mort (La dilazione della morte) del poeta parigino Jean Le Févre in cui l'autore racconta di essere scampato per un pelo alla morte in seguito a una grave malattia contratta il 9 ottobre 1376: «Je fis de Macabré la Dance / Qui toutes gens maine a sa tresche / Et a la fosse les adresche / Qui es leur derraine maison» (Mi sono unito alla danza [di] Macabre / Che trascina tutti nel suo girotondo / E li conduce alla tomba / Loro ultima dimora).

Siamo in pieno autunno del medioevo, la peste nera ha mietuto circa un terzo della popolazione europea nel periodo di maggior virulenza (1347-1352) riproponendosi poi endemicamente a ondate cicliche, a partire dal XIII secolo il fantastico baltrušaitisiano irrompe prepotentemente nell'immaginario collettivo (letterario e pittorico) alterando la percezione della morte, che da una forma idealizzata e rasserenante vira verso una rappresentazione materiale, corporea, piena di scheletri parlanti  (L'incontro dei tre vivi e dei tre morti) e danzanti (le Danze macabre).


Ma chi era questo Macabre con cui Le Févre fece un giro di ronda? L'origine è controversa. Secondo alcuni, potrebbe coincidere col nome del pittore che affrescò nel 1424, lungo una delle mura del vecchio Cimitero degli Innocenti a Parigi, la piú antica raffigurazione della danza a noi nota, o addirittura il nome del cappellano della chiesa omonima. Altri intravvedono un'alterazione da machabé (Maccabeo) in correlazione ad un rituale ecclesiastico che si inscenava il 10 luglio in memoria dei defunti (Machabaeorum chorea = danza dei Maccabei, sette fratelli ebrei vissuti nel II sec. a. C. commemorati nel martirologio romano) (il 10 luglio, a dire il vero, si celebravano i santi Sette frati figli di Felicita, le cui leggendarie vicende, tuttavia, sembrano costruite sulla falsariga dei loro piú noti antecessori). Una terza ipotesi - sempre di ambito deonomastico - trova un collegamento con san Macario, il monaco che secondo la tradizione (cosí riferita da Vasari) nell'affresco dedicato al Trionfo della morte presente al Camposanto di Pisa (1336-1341) indica a tre cavalieri la presenza di tre cadaveri, uno dei quali ridotto ormai a scheletro.

Arriverà poi la temperie romantica (di cui i giorni nostri sono postumo cascame) a rinverdire i lati macabri del gotico, con Goethe, Liszt, Baudelaire, PoeSaint-Saëns, giú giú fino a Michael Jackson, Stephen KingTim BurtonDamien Hirst &co.


lunedì 2 gennaio 2017

laconico

/la-cò-ni-co/
agg.
Relativo alla Lacònia (o piú propriamente Lacedemonia, come era conosciuta nell'antichità), nomo greco nel Peloponneso sudorientale con capitale Sparta (avete presente il film 300?).
Plutarco (ca. 46-125), cittadino ateniese e romano, negli Apophthégmata Lakoniká (Apoftegmi dei Laconi) celebra, quasi con intento nostalgico, i valori della civiltà spartana (quando essa era in auge, fino al V sec. a.C.), tra i quali si evidenziano anche l'essenzialità (in spregio all'orpello superfluo) e lo stile asciutto (in spregio alla prolissità retorica). Fin dall'antichità, dunque, l'aggettivo acquista il significato di conciso, stringato ed Erasmo accoglie il termine nei suoi celebri Adagia (Proverbi), che tanto influenzarono la cultura europea del XVI secolo, fin dall'edizione veneziana del 1508, al nr 958 della chilias secunda. Ecco l'adagio tradotto dal latino in italiano:


«Laconismo. Cosí si denomina la concisione (breviloquentiam), per cosí dire proverbialmente, o perché gli Spartani eccelsero nei fatti piú che nelle parole o perché fra essi prevaleva soprattutto la forma aforistica, la cui particolare grazia consisteva nel comprendere molte proposizioni in pochissime parole. Come ad esempio: «forse», in risposta ad un prolisso discorso di un messaggero; e un «no» che occupava da sola un’intera lettera. M. Tullio [Cicerone] talvolta ironizzava sulla laconicità di Bruto e in greco «parlare laconico» significa esprimersi sinteticamente, con poche parole».


Lo spunto iniziale sviluppato poi nella riflessione di Erasmo proviene verosimilmente dalla lettura di un passo delle Annotationes centum (Filippo Beroaldo, 1496) e si disseminò successivamente in molteplici manuali di retorica andando ad aggiungere un quarto stile, quello laconico, ai tre classici stabiliti da Quintiliano nella sua Institutio oratoria (I sec. d.C.): l'attico, il rodio e l'asiano (altri eponimi in cui si disposero nello spettro del dicibile le caratteristiche di asciuttezza o verbosità elocutoria). Divenne da allora proverbiale contrapporre i due nuovi estremi, quello laconico a quello asiatico (cfr. ad esempio una lettera di Giacomo Leopardi alla sorella Paolina «Ma è omai tempo di finirla poichè mi avvedo che avendo fatto l'elogio dello stile laconico sto per cadere nei difetti dello stile Asiatico» 28/1/1812).


sabato 24 dicembre 2016

italico

/i-tà-li-co/
agg. e s.m.
In ambito tipografico, sinonimo di [carattere] corsivo. 
Nella lingua italiana corrente, il termine viene percepito ormai come antiquato; finché il latino, però, fu lingua franca delle élite intellettuali europee, capitava sovente di imbattersi - nei testi a stampa - in espressioni del tipo charactere italico, vulgo corsivo, ovvero, in versioni nostrane, «distinte con Carattere Aldino, o sia Italico, che volgarmente chiamano Corsivo».
Tale uso deriva dal fatto che questo carattere fu inventato in Italia, proposto per la prima volta dall'editore veneziano Aldo Manuzio sul frontespizio delle Epistole devotissime di santa Caterina da Siena (1500). I punzoni vennero cesellati ad hoc dall'orafo bolognese Giuseppe Griffo (1450-1518) probabilmente su disegno dello stesso Aldo, ispirato da un tipo di scrittura in voga nella seconda metà del Quattrocento nelle cancellerie italiane, sull'esempio dei codici vergati dall'umanista Niccolò Niccoli (1365-1437) e dalla sua cerchia. Queste forme piú agili e sottili, che occupavano meno spazio nella pagina, consentirono a Manuzio di pubblicare una serie di classici greci e latini in piccolo formato (enchiridii forma, come li chiamava lui) che ebbero un notevole successo  commerciale in tutta Europa, facendo cosí germogliare nelle varie lingue del continente il comune seme originale (italic, italique, itálicoİtalik).


giovedì 22 dicembre 2016

hobby

/hòb-by/
s.m. inv.
Passatempo, occupazione gradevole - solitamente contrapposta a una piú seria attività professionale o di studio - alla quale ci si dedica durante le ore libere, entro un range variabile di capacità, diligenza e passione. 
Il termine è attestato nella lingua inglese fin dal XIV secolo (variante hobyn) quale ipocoristico familiare o variante del nome proprio Robin, Robbie, che identificava una razza di cavalli irlandese (cfr. l'italian-toscano ubino adoperato sineddoticamente dall'Ariosto «Nel mansueto u. che sul dosso / Avea la figlia del re Stordilano, / Fece entrar un degli angel di Minosso» Orlando Furioso XXVI,129). Hobby-horse diviene poi sinonimo di cavallo da tiro e parallelamente quel surrogato (Gombrich direbbe una rappresentazione) di cavalluccio (formato da un'asta di legno e una testa con fattezze equine) che costituirà uno dei principali trastulli d'infanzia prima dell'avvento delle automobili (e dei rispettivi surrogati in miniatura).  Il passo semantico successivo porta da giocattolo a passatempo preferito, o particolare mania, grazie soprattutto all'enorme successo di pubblico riscosso dal The Life and Opinions of Tristram Shandy (1760-1767) il cui personaggio piú celebre e amato, lo zio Tobia, era roso da una comica ossessione (hobby-horseper gli assedi e le fortificazioni militari, che lo portava a ricostruire nel giardino di casa propria gli accadimenti bellici di cui leggeva nelle gazzette.
Panzini registra nel 1923 la voce hobbyhorse, indicando come equivalenti italiani ticchio, fissazione (forse pallino renderebbe meglio la nuance semantica) e solo nell'ed. del 1942 la forma hobby, già adoperata tuttavia fin dal 1926 da Italo Svevo («Gli inglesi non c’è dubbio hanno una grande necessità di attività ideale. La dedicano alla politica, alla legge e chi non arriva a queste due altissime attività la dedica alla sua Hobby, collezioni disinteressate, musica e soprattutto religione» Racconti, saggi, pagine sparse, a cura di B. Maier - orig. in Soggiorno londinese).


Il movimento artistico Dada deriva probabilmente il proprio nome dal termine francese per hobby-horse; è stata evidenziata inoltre l'influenza del Tristram Shandy sugli scritti di Tristan Tzara, principale teorico del movimento.





domenica 18 dicembre 2016

gorilla

/go-ríl-la
s.m. inv. 
Genere di primati appartenente alla famiglia degli ominidi. 
Il termine fu adottato dal missionario e naturalista Thomas Staughton Savage descrivendo quella che all'epoca venne considerata una nuova specie di Troglodytes, da lui casualmente scoperta alla foce del Gabon (attuale Libreville) e nota ai nativi col nome di Engé-ena. Nell'aprile 1847 il reverendo stava viaggiando nell'Africa occidentale, quando una malattia lo costrinse a fermarsi e trascorrere la convalescenza in casa del collega John Leighton Wilson. Qui gli venne mostrato un grosso teschio scimmiesco che Savage riconobbe subito non appartenere ad alcun primate allora noto, identificandolo con quell'Ingena di cui nel 1819 l'esploratore Thomas Edward Bowditch aveva riportato l'esistenza (senza però averlo visto personalmente). 
Il missionario aveva letto l'edizione inglese (Falconer 1797) del Periplo attribuito ad Annone di Cartagine (VI o V sec. a.C.), considerato il piú antico resoconto di viaggio in terre africane. Su di un isola (verosimilmente nel Golfo di Guinea) Annone e i suoi si imbattono in una popolazione di primitivi, particolarmente pelosi (pigmei o scimmie?), che gli interpreti al seguito riferiscono chiamarsi Γόριλλαι (Gorillae: del resoconto è sopravvissuta solo una copia tradotta in greco, l'attuale ms Barb. gr. 107). È da rimarcare che la radice gor, kor si trova in parecchie lingue attuali del Senegal associata alla parola per indicare uomo.
L'uso di gorilla come sinonimo di guardia del corpo deriva dallo slang americano ed è attestato già agli inizi del Novecento («It was a bruising hand, too, on occasion, Fulton being known as "Harrison's gorilla," which signified bodyguard and office bouncer» Leon David Hirsch, The Man who Won, 1918) mentre Panzini (1923) gli associa anche una connotazione mandrillesca che col tempo si è perduta (King Kong effettivamente aveva un debole per le bionde).

martedì 13 dicembre 2016

fucsia

/fùc-sia
s.f. 
Genere di pianta arbustiva originaria dell'America Centro-meridionale e della Nuova Zelanda, i cui fiori presentano una tonalità di colore tra il rosso e il viola.
s.m. e agg. inv. 
Colore simile a quello dei fiori della pianta (anche fuchsia, che in effetti è il nome scientifico secondo la tassonomia linneana:  «La presenza del Vicario Generale dell'Archidiocesi di Palermo era annunziata dal suo vasto cappello di fine castoro di un delizioso color fuchsia, adagiato su di una sedia appartata» Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo).
Il nome venne attribuito (onorando la memoria del botanico e medico tedesco Leonhart Fuchs, vissuto nel sec. XVI) dal frate botanico Charles Plumier (1646-1704) che scoprí - primo occidentale - un esemplare del genere nell'isola di Hispaniola (Santo Domingo).
A complicare il percorso etimologico, nel 1859 Francoise-Emmanuel Verguin  scopre e brevetta un colorante sintetico (secondo assoluto dopo la malva) a partire dall'anilina, battezzato fuchsine dall'azienda Renard Freres (renard=volpe=Fuchs) che acquisisce il brevetto. Diviene di colore fucsia se disciolto in acqua; come solido forma cristalli verdi. Ha subito un amplissimo utilizzo industriale per tingere le stoffe ma anche come disinfettante. L'anno successivo Edward Nicholson inventa un procedimento piú efficace per ottenere la fuchsina e la commercializza nel Regno Unito col nome magenta, un termine molto di moda all'epoca per la risonanza mediatica che ebbe la battaglia fra austriaci e franco-piemontesi nell'omonima città sul Ticino. Da allora i due termini-colore vengono adoperati sostanzialmente come sinonimi. Non a caso, il nuovo OS di Google, Fuchsia, si basa su un kernel chiamato Magentatout se tient (tranne il motto di lancio dell'azienda di Mountain View, coloristicamente discutibile: «Pink + Purple = Fuchsia».