lunedì 2 gennaio 2017

laconico

/la-cò-ni-co/
agg.
Relativo alla Lacònia (o piú propriamente Lacedemonia, come era conosciuta nell'antichità), nomo greco nel Peloponneso sudorientale con capitale Sparta (avete presente il film 300?).
Plutarco (ca. 46-125), cittadino ateniese e romano, negli Apophthégmata Lakoniká (Apoftegmi dei Laconi) celebra, quasi con intento nostalgico, i valori della civiltà spartana (quando essa era in auge, fino al V sec. a.C.), tra i quali si evidenziano anche l'essenzialità (in spregio all'orpello superfluo) e lo stile asciutto (in spregio alla prolissità retorica). Fin dall'antichità, dunque, l'aggettivo acquista il significato di conciso, stringato ed Erasmo accoglie il termine nei suoi celebri Adagia (Proverbi), che tanto influenzarono la cultura europea del XVI secolo, fin dall'edizione veneziana del 1508, al nr 958 della chilias secunda. Ecco l'adagio tradotto dal latino in italiano:


«Laconismo. Cosí si denomina la concisione (breviloquentiam), per cosí dire proverbialmente, o perché gli Spartani eccelsero nei fatti piú che nelle parole o perché fra essi prevaleva soprattutto la forma aforistica, la cui particolare grazia consisteva nel comprendere molte proposizioni in pochissime parole. Come ad esempio: «forse», in risposta ad un prolisso discorso di un messaggero; e un «no» che occupava da sola un’intera lettera. M. Tullio [Cicerone] talvolta ironizzava sulla laconicità di Bruto e in greco «parlare laconico» significa esprimersi sinteticamente, con poche parole».


Lo spunto iniziale sviluppato poi nella riflessione di Erasmo proviene verosimilmente dalla lettura di un passo delle Annotationes centum (Filippo Beroaldo, 1496) e si disseminò successivamente in molteplici manuali di retorica andando ad aggiungere un quarto stile, quello laconico, ai tre classici stabiliti da Quintiliano nella sua Institutio oratoria (I sec. d.C.): l'attico, il rodio e l'asiano (altri eponimi in cui si disposero nello spettro del dicibile le caratteristiche di asciuttezza o verbosità elocutoria). Divenne da allora proverbiale contrapporre i due nuovi estremi, quello laconico a quello asiatico (cfr. ad esempio una lettera di Giacomo Leopardi alla sorella Paolina «Ma è omai tempo di finirla poichè mi avvedo che avendo fatto l'elogio dello stile laconico sto per cadere nei difetti dello stile Asiatico» 28/1/1812).


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